Sostenibilità delle aziende: è solo una “teoria” oppure può essere un driver di sviluppo?

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di Giuseppe Mancarella – Direttore commerciale del Gruppo Gabbiano S.p.A., multinazionale italiana attiva nel mercato del F.M.C.G. – Delegato commerciale in Centromarca

La sostenibilità è un argomento di “moda” nei dibattiti sulle nuove tecniche di gestione aziendale (la governance), siano essi a livello macroeconomico, o all’interno delle varie filiere produttive.

Con onestà intellettuale, però, possiamo domandarci se questo tema sia solo ideale per i grandi forum o i Centri Studi, oppure sia un reale, concreto, driver per le nostre aziende, in particolar modo per le Pmi?

In altre parole, è un argomento che gli operatori economici – imprenditori, manager, consulenti – possono leggere con distaccato interesse oppure dovrebbero approfondire e mettere in atto?

Inizierei nell’inquadrare il tema in oggetto – senza alcuna pretesa di esaustività e, volutamente, senza entrare nel tecnicismo delle disposizioni europee.

Possiamo affermare che un’impresa è sostenibile se e quando nelle sue strategie sono sistematicamente integrati, con pari interesse e focus, tre elementi:

  • Gli obiettivi di guadagno; ossia l’obiettivo di remunerare tutti i fattori produttivi.
  • Gli obiettivi di benessere delle persone coinvolte nei processi interni ed esterni all’azienda. Per il raggiungimento di tali obiettivi, in altre parole, occorre lavorare affinché tutte le risorse umane in relazione con l’azienda, abbiano la possibilità di vivere un contesto rispettoso della loro dignità professionale (oltre che della persona, quindi che non ci siano discriminazioni di sorta) e di crescita della stessa loro professionalità.
  • L’obiettivo di cura ed attenzione dell’ambiente. Per perseguire quest’ultimo elemento, occorre porre attenzione a tutte le azioni aziendali che impattano sul mondo esterno, quindi alle potenziali conseguenze sul clima e le biodiversità; per semplificare, sono incentivate ed apprezzate le politiche di riutilizzo, come quelle improntate al risparmio delle risorse.

Solitamente, la scintilla che muove un imprenditore ad intraprendere il percorso verso la sostenibilità aziendale, è quello di volersi distinguere dalle altre realtà – magari concorrenti – che mettono in pratica azioni scorrette, volendo, invece rimarcare la diversità della propria azienda, la sua serietà e coerenza. Insito in questo ragionamento, quindi a questo primo passo di carattere etico, c’è l’esigenza di comunicare all’esterno – ai propri clienti, alla comunità di riferimento, ai propri fornitori, ecc – questo approccio, questa volontà di “fare bene” il proprio mestiere di imprenditori, con una reale utilità per le persone e per la società.

Proviamo ora, però, a capire se conviene investire in sostenibilità aziendale e se questa “filosofia” aziendale sia adatta alle nostre Pmi.

Senza indugi, e sempre con taglio operativo, possiamo affermare che essere sostenibili, oltre che corretto, è anche conveniente.

Sono numerosi gli studi e le statistiche che lo affermano, addirittura una indagine BVA Doxa afferma che per 3 Pmi su 10, la sostenibilità accelera l’uscita dalla crisi; tra l’altro, proprio le Pmi italiane registrano il più alto incremento nel rating di sostenibilità rispetto alle imprese europee e globali (fonte dell’Annual Report Sustainability Risk & Performance Index di Ecovadis). In altre parole, non solo la sostenibilità aziendale può essere una leva di sviluppo, ma è perfettamente agibile dalle Pmi e, quindi, non è un tema ad appannaggio solo delle grandi multinazionali.

Andiamo avanti e proviamo ad individuare alcuni elementi che possono aiutarci a capire perché un processo di sostenibilità, possa avere reali vantaggi economici per un’impresa:

  • contratti e rapporti più chiari e di fiducia con fornitori e clienti. Certamente essere parte di una filiera produttiva collaborativa, può solo creare positività, distensione dei rapporti, meno tensioni e, ad esempio, possono nascere e svilupparsi più facilmente nuove aree di efficienza lungo tutta la catena di settore;
  • una migliore reputazione dell’azienda – ossia del suo impegno sui vari ambiti in cui possiamo essere sostenibili – si può tradurre in un rafforzamento della propria posizione e quota di mercato. Questo può significare avere dai clienti una riconoscibilità che si può tradurre, ad esempio, in un maggiore prezzo dei propri prodotti/servizi (“price premium”). La reputazione di un’azienda è la vita dell’azienda stessa, se la si perde il danno può essere incalcolabile.
  • una maggiore efficienza interna. Il maggiore impegno e coinvolgimento dei dipendenti e dei collaboratori nelle attività dell’azienda si traduce in aumento della produttività. In questa sede possiamo solo accennare ai vantaggi – evidenti – che si creano quando i collaboratori si sentono ascoltati, rispettati e coinvolti; sull’importanza di lavorare in un ambiente stimolante si è scritto e detto tanto, ma questa leva di sviluppo deve ancora essere diffusamente attivata nelle aziende, per generare passione per il lavoro, attaccamento all’azienda.
  • minore rischio e più solidità nel tempo. Le imprese responsabili hanno un livello di conflittualità minore, hanno mediamente meno costi legati ai conflitti, proprio grazie all’inclusività di cui si diceva prima. Questo si traduce in stabilità e longevità dell’attività di impresa.
  • fidelizzazione della clientela. Un’azienda sostenibile tende ad avere un posizionamento strategico che, di per sé, è una barriera all’ingresso ai competitor; i clienti si fidelizzano e, solitamente, questo tipo di cliente accetta di pagare di più un prodotto, come accennato prima, perché fatto da un’azienda sostenibile, che risponde ai sui canoni di correttezza e rispetto; questo si traduce in maggiori utili.

Quindi possiamo affermare facilmente che diventare sostenibili è una strada obbligata per le aziende che hanno voglia di essere attori dei prossimi decenni, a partire dall’oggi, come tracciato, ad esempio dal Green Deal Europeo.

In ultimo, è doveroso un passaggio sulla necessità di comunicare bene le politiche aziendali sostenibili.

Meno del 5% delle imprese italiane elabora bilanci con informazioni non finanziarie (fonte Istat); allo stesso tempo, si denota che nelle aziende in cui è iniziato questo percorso – o quelle che ne sono già pienamente a regime – sono chiari gli obiettivi ed i progetti di sostenibilità, ma gli stessi sono molto meno concretizzati, meno rendicontati e valorizzati nelle performance. Non è facile, ma è fondamentale dare un “valore” a queste politiche, altrimenti il tutto rimane una sterile enunciazione di obiettivi, che non si tradurranno mai in veri vantaggi competitivi ed economici.

Nell’ambito della comunicazione, grande attenzione va data a quella non istituzionale (ossia, quella bilancistica); i mezzi di comunicazione oggi permettono di raggiungere in modo mirato i target di riferimento aziendali, ossia quei clienti o fornitori, quegli enti o istituzioni, quei finanziatori, a cui interessa comunicare le proprie politiche. Questo ultimo tema, mi ripeto, merita grande attenzione e pianificazione in azienda.

Le nostre aziende vivono un contesto di complessità che, quasi certamente, è tra i più importanti dell’ultimo secolo; la reputazione aziendale, oggi più che mai, è – e sarà – un elemento discriminate tra le aziende.

La fluidità, la velocità delle informazioni e delle valutazioni, può essere un elemento negativo per le aziende poco lungimiranti, ma può essere un grande vantaggio competitivo per tutte quelle altre che, invece, vorranno essere vissute come rispettose delle 3 P (Persone, Pianeta, Profitto).

Da qui l’importanza per le imprese di affidarsi a professionisti del settore legale e manageriale che sappiano progettare il futuro aziendale all’insegna delle predette politiche di sostenibilità.